Registro dei rappresentanti d'interessi

L’Associazione Verso Fondo Pre.Si.Di. è iscritta sin dal 2019 nel registro dei rappresentanti d’interessi della Camera dei deputati della Repubblica italiana. Il registro ha finalità di rendere pubblica e trasparente l’attività delle organizzazioni che svolgono la rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera.
L’attività è concentrata sulla presentazione di proposte, istanze, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa volta a perseguire gli interessi delle categorie rappresentate, nei confronti della Camera dei Deputati.
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Camera dei deputati

Risoluzione n. 7-00772 (Colucci ed altri) del 19/01/2000

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic7_00772_13
La XI Commissione, premesso che anche per i lavoratori del pubblico impiego, l’avvio dei fondi pensione costituisce iniziativa indispensabile per compensare le riduzioni del trattamento pensionistico principale che potranno rivelarsi necessariamente piu’ sensibili negli anni a venire; considerata l’esistenza nell’ambito della Difesa delle casse e dei fondi di previdenza dalle stesse gestiti, cui il personale militare e’ iscritto in via obbligatoria; considerata la presenza dell’Osservatorio, appositamente costituito presso la Funzione Pubblica; considerato che in relazione all’iscrizione alle casse citate potrebbe verificarsi per i piu’ giovani il conseguimento di un trattamento di previdenza complementare inferiore alle somme versate, nonche’ di un piu’ basso rendimento rispetto ad altre analoghe forme di risparmio previdenziale; ritenendo necessario intervenire per evitare di collocare il personale militare inposizioni di disagio e di inferiorita’ rispetto ad altri lavoratori; considerata la necessita’ della preventiva soluzione di particolari problematiche, relative ad alcune delle casse in parola, quali la presenza di immobili patrimoniali degli iscritti alle casse stesse, utilizzati anche ai fini di protezione sociale, che un provvedimento indiscriminato potrebbe penalizzare; considerato che la problematica per l’istituzione dei fondi pensione per il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia e’ oggetto dei lavori di ‘concertazione’ avviati il 16 settembre 1999; impegna il Governo ad avviare, nelle varie sedi istituzionali, tutte le possibili iniziative volte a risolvere il problema delle Casse Ufficiali e Sottufficiali con soluzioni che tengano conto della peculiarita’ dello status militare e salvaguardino i diritti acquisiti degli interessati, in linea con quanto gia’ attuato per analoghe fattispecie che hanno riguardato altri comparti pubblici. (7-00772)

Interrogazione a risposta scritta n. 4-04023, (PUBLIO FIORI ) del 2 ottobre 2002

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_04023_14
Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che: nell’ambito della difesa operano le casse militari, a cui sono scritti ufficiali e sottoufficiali dell’esercito, della marina, dell’aeronautica e dell’arma dei carabinieri, ma non i volontari in servizio permanente delle forze armate; tali sodalizi erogano, al termine del servizio degli iscritti, una indennità « una tantum », rapportata a parametri fissati dalle leggi istitutive; con decreto legislativo n. 124 del 1993 sono stati introdotti i fondi pensione complementare; in particolare, l’articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 255 del 1999 ha disciplinato i criteri per l’istituzione del fondo pensione negoziale in ambito militare. (4-04023)

Interrogazione a risposta scritta n. 4-14669, (TURCO Maurizio) del 30 gennaio 2012

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_14669_16
Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per
sapere – premesso che:
la legge 8 agosto 1995, n. 335 recante la « Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare », ha sancito un cambiamento dei trattamenti previdenziali con il passaggio dal periodo di calcolo retributivo a quello contributivo;
il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia arruolato dal 1o gennaio 1996, nonché quello che alla data del 31 dicembre 1995 non poteva vantare un’anzianità retributiva pari o superiore a
18 anni, ha subito sensibili conseguenze previdenziali dalla riforma suddetta;
la legge 23 dicembre 1998, n. 448,
all’articolo 26, comma 20 – similmente a quanto avvenuto per altri comparti – ha previsto l’istituzione di forme pensionistiche integrative per il personale del comparto sicurezza-difesa, attraverso procedure di negoziazione e di concertazione;
il problema in argomento, a distanza di circa diciassette anni, non è stato ancora risolto con conseguenze difficilmente giustificabili rispetto ad altri comparti;
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 all’articolo 24, comma 18, ha previsto di adottare, « con regolamento da emanare entro il 30
giugno 2012 », « le relative misure di  rmonizzazione dei requisiti di accesso al
sistema pensionistico, tenendo conto delle
obiettive peculiarità ed esigenze dei settori
di attività nonché dei rispettivi ordinamenti » –:
se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente adottare iniziative normative volte a prevedere anche l’istituzione di forme pensionistiche integrative per i lavoratori del comparto sicurezzadifesa.

Interrogazione in Commissione n. 5-03883 (FRUSONE Luca) del 29 ottobre 2014

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic5_03883_17
Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell’economia e delle finanze.
Per sapere – premesso che: la riforma previdenziale di cui alla cosiddetta legge «Dini» (legge 8 agosto 1995, n.335) ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (articolo 1, commi 6 e 12); il successivo articolo 2 della legge ha poi previsto la «trasformazione» per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell’articolo 2120 codice civile (comma 5), demandando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell’attuazione della cosiddetto previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7); le cosiddette forme di previdenza complementare per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state introdotte dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n.124 per i lavoratori sia privati che pubblici (articolo 2, lettera a) ), demandandone l’istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico, alle norme dei rispettivi ordinamenti (articolo 3, comma 2); disposizioni analoghe sono state poi dettate dal decreto legislativo del 5 dicembre 2005, n.252 che ha riformulato la disciplina delle forme di previdenza complementare; con particolare riguardo al personale delle forze di polizia e delle forze armate, il decreto legislativo 12 maggio 1995, n.195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: articolo 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: articolo 4 e per le forze armate: articolo 5); le procedure di concertazione sono regolate dall’articolo 7 del decreto legislativo n.195 del 1995 (come modificato dal decreto legislativo n.31 marzo 2000, n.129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la pubblica amministrazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze; dette procedure «[…] hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive […]”, ivi compresa la sottoscrizione dell’ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile; l’ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente «recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato»; l’articolo 26, comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n.448, con norma d’interpretazione autentica, ha chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l’istituzione di forme di previdenza complementare: l’articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n.254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell’adesione ai fondi pensione): a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare […] anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego; b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare; risultano numerosi ricorsi attualmente pendenti presso il T.A.R. del Lazio, Sez. III- ter (nn.rr. R.G. 7756-7757-7759-7762-7763-7765-8801-8803-11308/2008 e 879-6629/2009) presentati da militari della Guardia di finanza, oltreché da altri appartenenti al comparto della FF.PP. e FF.AA.; i ricorrenti sono stati, loro malgrado, assoggettati ai nuovi (e più penalizzanti) criteri di calcolo dell’ordinario trattamento di quiescenza; nei loro confronti non è ancora stato attivato quello che è oramai comunemente definito il secondo pilastro previdenziale (la cosiddetta previdenza complementare); solo mediante quest’attivazione (e, cioè, mediante la costituzione di un’ulteriore posizione previdenziale), è possibile ovviare – in tutto o in parte – agli squilibri di ordine patrimoniale connessi all’applicazione dei nuovi criteri di calcolo della propria pensione; l’interesse vantato in questa sede è senz’altro tale da ritenersi «qualificato»: in quanto preso in espressa considerazione dall’ordinamento positivo (che lo differenzia, nettamente, rispetto a quelli propri della generalità dei consociati); per come la si è concretamente disciplinata (sia nella legge fondamentale che nella normativa di dettaglio), la previdenza integrativa può realizzarsi – almeno in favore dei militari e dei soggetti ad essi equiparati – soltanto attraverso una specifica procedura amministrativa destinata a concludersi con un provvedimento autoritativo; ciò rende, ovviamente, configurabile la sussistenza — in capo agli scriventi — di una posizione di interesse legittimo: consistente, appunto, nella pretesa a che la pubblica amministrazione eserciti correttamente i poteri all’uopo conferitile (ex multis: TAR Lazio, Roma, sezione 1 a bis, n.9186/2011 e n.9187/2011; TAR Lazio, Roma, sez. 1 a bis, n.2907/2013 e n.2908/2013); per il combinato disposto degli articoli 1, 2, 4 e 7 del decreto legislativo n.195 del 1995, le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari del personale della guardia di finanza si concludono ( id est : devono concludersi) con un decreto del Presidente della Repubblica, emanato a seguito di concertazione tra i Ministri (o i Sottosegretari da questi delegati) della funzione pubblica, dell’interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, della difesa, delle finanze (nell’ambito della cui delegazione è prevista la presenza del Comandante generale della guardia di finanza, o di chi per esso, e dei rappresentanti del COCER), della giustizia e delle politiche agricole e forestali; le cennate procedure sono ( id est : devono essere) avviate dal Ministro per la funzione pubblica e si concludono ( id est : devono concludersi) con un apposito «Schema di provvedimento»; il Consiglio dei ministri, entro 15 giorni da tale sottoscrizione, approva il predetto schema e lo sottopone (senza necessità di acquisire, sul punto, il parere del Consiglio di Stato) alla firma del Presidente della Repubblica: il cui decreto (e ciò è sufficiente ad escluderne la natura, da taluno incautamente ipotizzata, di atto normativo) è sottoposto al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti; da quanto testé evidenziato, emerge con chiarezza che l’apparato pubblico ha l’obbligo (e non solo la facoltà) di attivarsi concretamente al fine di promuovere la costituzione di forme pensionistiche complementari (in ossequio a quanto previsto, in materia, dal combinato disposto degli articoli 67 del decreto del Presidente della Repubblica n.254 del 1999; 74 della legge n.388 del 2000 ed 1 della legge n.243 del 2004); ai sensi dell’articolo 2 della legge n.241 del 1990 (come sostituito dall’articolo 7 della legge n.69 del 2009), le pubbliche amministrazioni – qualora una procedura consegua, come nella circostanza, ad un’istanza dei soggetti ad essa interessati – hanno il dovere di concluderla mediante l’adozione di un provvedimento espresso; altri soggetti, facenti parte dello stesso comparto delle Forze di polizia e nella medesima situazione dei ricorrenti, hanno provveduto con apposita istanza, che deve considerarsi del tutto estensibile all’interesse dei ricorrenti in quanto di portata generale, a notificare ai Ministeri competenti, atto di intimazione e messa in mora a concludere il suddetto procedimento entro il termine di 180 giorni dalla notifica del suddetto atto; persistendo l’inerzia delle amministrazioni intimate, è stato proposto ricorso amministrativo (T.A.R. Lazio – registro generale 6992 del 2011 – sent. n.9186/2011) ai sensi degli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo, affinché il tribunale accertasse e dichiarasse l’obbligo delle suddette amministrazioni di concludere, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui è causa. Il TAR del Lazio ( ex multis : T.A.R. Lazio, Roma, sez. 1 a bis, n.9186/2011 e n.9187/2011; T.A.R. Lazio, Roma, sez. 1 a bis, n.2907/2013 e n.2908/2013); ha giudicato fondato i ricorsi e li ha accolti, precisando come nella fattispecie sussista l’obbligo per le amministrazioni resistenti di provvedere sulle istanze dei ricorrenti atteso che tale obbligo discende direttamente dalla legge la quale ha individuato le modalità di attivazione della procedura rivolta a dare concreta attuazione della «previdenza complementare» per il personale del comparto sicurezza — difesa; per l’effetto, il TAR del Lazio ha dichiarato l’obbligo per le amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo di cui è causa nel termine di 180 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notifica, se anteriore; per i ricorrenti che si trovano tutti nella situazione di chi non aveva ancora 18 anni di contributi il 31 dicembre 1995 (e, quindi, per legge assegnato al sistema di calcolo «misto») ovvero di chi è stato (neo)assunto dal 1 o gennaio 1996 (e, quindi, assegnato al sistema di calcolo contributivo puro), è determinante la circostanza — accertata dal giudice amministrativo che l’amministrazione è rimasta inadempiente per non aver dato avvio alla previdenza integrativa (mediante la costituzione del relativo Fondo pensione cosiddetti «di categoria» e/o, in assenza, mediante il ricorso ai fondi pensione «aperti» o «di mercato») — prevista dalla legge di riforma (Dini) — che ad avviso dello stesso legislatore avrebbe dovuto integrare, per l’appunto, la quota parte del trattamento pensionistico futuro che si sarebbe perduto con il mutamento del sistema di calcolo dello stesso; ciò è ancor più valido dopo la recente riforma pensionistica approvata dal Governo che, solo con inizio dal 1° gennaio 2012, ha esteso il previgente sistema contributivo a tutti i lavoratori del pubblico impiego; tale provvedimento rende ancora più evidente la necessità di posticipare al 1 o gennaio 2012 il sistema contributivo anche per i ricorrenti, atteso che nell’arco temporale 1 o gennaio 1996 – 31 dicembre 2011 vi è stata l’inadempienza che ha impedito il decollo della previdenza complementare, ciò nonostante un quadro normativo del tutto idoneo alla sua attuazione; le molteplici azioni giudiziarie, sono state legittimamente avviate dai ricorrenti per il recupero di concreti danni patiti per il suddetto arco temporale (171/1996 — 31 dicembre 2011), mediante la richiesta riassegnazione, ora per allora, al sistema retributivo ovvero la corresponsione di una somma, a titolo di risarcimento danni, pari alla perdita di quota parte del trattamento pensionistico futuro, in vista di una pensione che possa essere e debba essere la più equa possibile–: se i Ministri interrogati non ritengano necessario e ormai non più indifferibile dare urgente attuazione alla normativa in materia di promozione e costituzione di forme pensionistiche complementari in ossequio a quanto previsto, in materia, dal combinato disposto degli articoli 67 del decreto del Presidente della Repubblica n.254 del 1999; 74 della legge n.388 del 2000 ed 1 della legge n.243 del 2004; se non ritengano i Ministri di doversi attivare con urgenza per l’effettivo avvio del procedimento di concertazione preliminare all’adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di decreto del Presidente della Repubblica; se i Ministri non ritengano opportuno, per quanto di loro competenza, sollecitare la tempestiva attivazione e coinvolgimento di organismi di rappresentanza, affinché le procedure concertative sulla previdenza complementare per le FF.PP. E FF.AA. si avviino e giungano a conclusione in tempi rapidi. (5-03883)

Atto della Camera dei Deputati n. 7-01304, (BASILIO, DELL’OSSO, CORDA, FRUSONE, RIZZO, TOFALO) del 30 giugno 2017

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic7_01304_17
Le Commissioni IV e XI, premesso che: legge 23 dicembre 1998, n.448, all’articolo 26, comma 20, ha previsto l’istituzione di forme pensionistiche integrative per il personale del comparto sicurezza e difesa, attraverso procedure di negoziazione e di concertazione; il decreto-legge n.201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.214 del 2011, e successive modificazioni, all’articolo 24, comma 18, ha previsto di adottare, «con regolamento da emanare entro il 31 ottobre 2012», «le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti»; persistendo l’inerzia delle amministrazioni nel concludere, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, il procedimento relativo alla instaurazione della pensione complementare sono stati promossi ricorsi contro il silenzio della pubblica amministrazione da parte di militari, con varie qualifiche, appartenenti alle Forze armate volti a sollecitare la conclusione del procedimento amministrativo concernente la costituzione di forme pensionistiche complementari, così come previsto dalle vigenti normative in materia pensionistica; si tratta in primis della sentenza del 5 ottobre 2011, n.9186/2011, e poi delle sentenze 21 marzo 2013, n.2907/2013 e n.2908/2013 pronunciate dalla sezione I- bis del TAR per il Lazio, nella quale i ricorrenti, militari delle forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, hanno ottenuto il riconoscimento dell’obbligo per le amministrazioni resistenti di concludere, mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo relativo all’introduzione della previdenza complementare; il Tar del Lazio, nel rendere esecutiva la sentenza, ha nominato un commissario ad acta , al quale veniva riconosciuto «soltanto un onere minimo indispensabile che è quello di attivare i procedimenti negoziali interessando allo scopo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed i Consigli Centrali di Rappresentanza, senza tralasciare di diffidare il Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione ad avviare le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza»; nella sentenza n.02907/2013 veniva disposto che il commissario « ad acta » ponesse in essere entro 180 giorni tutti gli opportuni provvedimenti per l’esecuzione della sentenza; a distanza di anni non risultano intraprese azioni concrete e definitive per procedere all’introduzione del previdenza complementare; tale inerzia rappresenta un danno economico per i militari appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare che si ripercuote negativamente sul trattamento economico previdenziale di quanti andranno in pensione con il sistema contributivo, impegnano il Governo: ad assumere le iniziative di competenza per concludere immediatamente, mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo relativo alla introduzione della previdenza complementare integrativa per i militari delle Forze armate; ad adottare tutte le iniziative necessarie per garantire la massima informazione, assistenza tecnica/amministrativa e trasparenza nei confronti degli utenti interessati.

Atto della Camera n. 7-00344 (FERRO, RIZZETTO, DEIDDA, GALANTINO ) del 15 ottobre 2019

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic7_00344_18
Le Commissioni IV e XI, premesso che: la previdenza complementare è il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è quello di erogare più elevati livelli di copertura previdenziale rispetto a quelli offerti dal sistema pubblico, a fronte delle varie riforme previdenziali che hanno abbattuto, negli anni, i livelli delle prestazioni pubbliche; ciò che rende le forme di previdenza complementare diverse da altri strumenti finanziari tradizionali è l’esistenza di una serie di norme di controllo, criteri e limiti di investimenti, specifici e stringenti, volti al raggiungimento dello scopo previdenziale cui essi tendono e che hanno impedito che le crisi finanziarie degli ultimi decenni distruggessero il risparmio pensionistico; nonostante, a partire dagli anni ‘90 e fino al 2001, anche la pubblica amministrazione sia stata caratterizzata dai processi di riforma previdenziale, con conseguenti abbattimenti del livello delle prestazioni pensionistiche, le forme di previdenza complementare, ed in particolare i fondi negoziali, per i dipendenti pubblici, hanno stentato ad affermarsi, rispetto al settore privato; nel settore pubblico questo è accaduto sia per la scarsa conoscenza e comprensione delle problematiche previdenziali, nonché per problemi legati al reperimento delle risorse per il loro avvio, sia per l’esistenza di un ostacolo di ordine economico-giuridico e cioè l’assenza, nel settore pubblico, della principale fonte di finanziamento presente, invece, nel settore privato: il Tfr (trattamento di fine rapporto); l’attuale perdurante situazione di crisi finanziaria ha poi acuito la diffidenza verso qualunque forma di investimento finanziario; esiste, inoltre, un problema di disparità di trattamento tra dipendenti pubblici: a differenza dei dipendenti pubblici contrattualizzati (Stato, Ministeri, sanità, enti locali) per i quali sono state trovate risorse e sono stati fatti partire i fondi pensione Espero (scuola) e Perseo-Sirio (Stato, parastato, sanità ed enti locali) per le categorie dei magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, Forze armate e di polizia, docenti e ricercatori universitari, personale appartenente alle carriere prefettizie e diplomatiche, personale di organi costituzionali i fondi pensione non sono partiti, a fronte di una significativa riduzione delle pensioni pubbliche, soprattutto per le classi più giovani (contributivi dal 1996); il perpetuarsi di tale situazione pone i dipendenti pubblici non contrattualizzati in una condizione di disparità anche sotto il profilo Costituzionale e, in particolare, dell’articolo 38, ai sensi del quale «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. […]»; la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 393 del 28 luglio 2000, ha sposato la tesi della «funzionalizzazione» della previdenza complementare a quella pubblica, nel senso che essa si sostituisce in parte ai compiti di quest’ultima, non in grado di garantire nel tempo adeguati livelli di copertura previdenziale; proprio la previdenza complementare costituisce, nel comparto sicurezza e difesa, uno dei più importanti capitoli ancora aperti e non risolti: il personale delle Forze armate fa parte di quei dipendenti pubblici che non sono stati coinvolti dal processo di privatizzazione del pubblico impiego e i cui rapporti di lavoro, sulla scorta del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, restano disciplinati dai rispettivi ordinamenti; per quanto concerne, infatti, il personale delle forze di polizia e delle forze armate, l’articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha riservato espressamente alle procedure di negoziazione e concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, «la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari […]»; tra i motivi che hanno reso difficoltosa la partenza dei fondi per i militari ne sono stati addotti prevalentemente due: l’assenza di risorse da destinare a tal fine nelle varie leggi di bilancio e il fatto che la citata legge n. 448 del 1998 richiede, di fatto, il preliminare passaggio dal Tfs al Tfr e tale passaggio non è conveniente per i militari; per ovviare a tale situazione molti militari hanno cercato di coprire da soli il divario previdenziale, spesso sottoscrivendo però prodotti spacciati come fondi pensione che non sono tali o comunque non utili ai fini pensionistici o, altre volte, prodotti molto costosi che ne eroderanno i rendimenti. In altri casi potrebbero aver sottoscritto prodotti offerti da intermediari finanziari senza una adeguata informativa collettiva; per il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate l’apertura ufficiale delle procedure di concertazione di cui al citato articolo 26 per la previsione di fondi pensione complementare è intercorsa nel 1999. Nello specifico, il decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 254 di «Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999», nel Titolo II, riguardante il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della Guardia di finanza), all’articolo 67, comma 1, stabilisce che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate provvedono a definire: a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego; b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; c) le modalità di trasformazioni della buonuscita in Tfr, le voci retributive utili per gli accantonamenti del Tfr, nonché la quota di Tfr da destinare a previdenza complementare. Lo stesso articolo 67, comma 2, specifica che destinatario dei fondi pensione, di cui al comma 1, è il personale che liberamente aderisce ai fondi stessi; per il personale delle forze armate e della polizia, che attualmente rimane in regime di Tfs, l’interpretazione del combinato disposto delle norme di cui sopra conduce a ritenere che il vincolo per consentire l’attivazione di forme contrattuali sussista solo ove si voglia utilizzare tale fonte di finanziamento (il Tfr) e quindi ci si trovi di fronte a fondi di natura negoziale, cioè ci si trovi innanzi a fondi istituiti in base a norme previste nei rispettivi ordinamenti e che quindi, scaturiscono da procedure di concertazione; tale vincolo, invece, non dovrebbe sussistere nel caso in cui si voglia attivare una forma di previdenza complementare finanziata solo da contribuzioni diverse dal Tfr, cioè nel caso di fondi istituiti sulla base di accordi tra lavoratori promossi da loro associazioni, che non coinvolgono il datore di lavoro. In tal caso, infatti, tali fondi, pur essendo chiusi, non avrebbero carattere negoziale; alla luce del delineato quadro normativo, il fulcro della questione risiede nell’individuazione dei soggetti titolati all’avvio delle procedure sopra citate, nonché delle posizioni assunte dal giudice amministrativo sul punto; in virtù del fatto che il personale in questione rientra tra quello non contrattualizzato, parte della dottrina e fondante giurisprudenza hanno ritenuto un obbligo in capo alla pubblica amministrazione procedere per disciplinare in base ai rispettivi ordinamenti la previdenza complementare ed il Tfr (Tar Lazio, Sezione I bis , Sentenza n. 9186/2011 del 23 novembre 2011); con le sentenze 21 marzo 2013, n. 2907/2013 e n. 2908/2013, pronunciate dalla sezione I bis del Tar Lazio, i ricorrenti (militari delle forze armate, inclusa l’Arma dei carabinieri) hanno ottenuto il riconoscimento dell’obbligo per le amministrazioni resistenti di concludere, mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo concernente l’introduzione della previdenza complementare; dallo stesso Tar Lazio è stato poi nominato un commissario ad acta , al quale è stato riconosciuto l’onere, ritenuto indispensabile, «di attivare i procedimenti negoziali interessando allo scopo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed i Consigli Centrali di Rappresentanza, senza tralasciare di diffidare il Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione ad avviare le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza»; nonostante ciò, a distanza di ben ventuno anni dall’entrata in vigore della legge n. 448 del 1998 non sono state ancora avviate le procedure di negoziazione e concertazione per «la definizione del trattamento di fine rapporto e l’avvio della previdenza complementare», contrariamente a quanto già realizzato per altri settori della pubblica amministrazione; non è più procrastinabile un’attivazione della previdenza complementare nel comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico volta ad accrescere gli assegni pensionistici nei confronti dei lavoratori le cui prestazioni verranno calcolate con il sistema contributivo e che quindi percepiranno meno rispetto agli altri lavoratori del pubblico impiego, impegnano il Governo: ad adottare iniziative per stanziare nel prossimo disegno di legge di bilancio le necessarie risorse da destinare all’avvio della previdenza complementare negoziale per il comparto difesa e sicurezza ai sensi della legge n. 448 del 1998, così da equiparare il personale militare al resto dei dipendenti pubblici; ad adottare iniziative per prevedere, nelle more dell’individuazione di risorse pubbliche, la creazione di un fondo collettivo non negoziale, evitando la dispersione dei singoli verso forme di previdenza diversificate e con scopo di lucro; ad assumere le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, in ottemperanza alle disposizioni di cui all’articolo 24, comma 28, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetta «legge Fornero»), finalizzate alla previsione di adeguate forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria agli enti previdenziali da devolvere verso schemi previdenziali integrativi, in particolare a favore delle giovani generazioni; ad adottare iniziative per prevedere meccanismi di adesione contrattuale all’interno dei singoli contratti di lavoro, posto che, come chiarito dalla Covip, l’adesione contrattuale deriva da una previsione inserita nel contratto collettivo nazionale di lavoro che introduce a favore di tutti i lavoratori dipendenti del settore di riferimento un contributo mensile, a carico del solo datore di lavoro, da versare al fondo di previdenza complementare individuato nel contratto stesso; ad adottare iniziative per prevedere, nelle more dell’attivazione della previdenza complementare, anche per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, benefici all’atto della cessazione del servizio; ad adottare iniziative per prevedere l’abolizione del meccanismo di «opzione», ossia la possibilità di aderire a fondi pensione negoziali senza dover trasformare il proprio Trattamento di fine servizio (Tfs) in Trattamento di fine rapporto (Tfr).

Atto della Camera n. 4-01064 (F.Gallo ) del 26 maggio 2023

https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/01064&ramo=CAMERA&leg=19

Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell’economia e delle finanze, al Ministro dell’interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

l’articolo 26, comma 20, legge n. 448 del 23 dicembre 1998, predispone l’istituzione di forme pensionistiche complementari per il personale in regime di diritto pubblico non contrattualizzato attraverso procedure di negoziazione e di concertazione;

a seguito dell’inerzia delle amministrazioni nel concludere il procedimento relativo all’instaurazione della previdenza complementare, sono stati promossi numerosi ricorsi da parte del personale dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, volti a sollecitarne la risoluzione;

attraverso molteplici sentenze giunte tra il 2011 ed il 2013, i ricorrenti hanno ottenuto il riconoscimento dell’obbligo per le amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo relativo all’introduzione della previdenza complementare;

tuttavia, a causa del perdurare di tale inosservanza, dall’anno 2019 sono stati depositati ulteriori e molteplici ricorsi avverso i dicasteri di riferimento, volti a richiedere il risarcimento economico dovuto al mancato avvio della previdenza complementare. Ciò costituisce un chiaro segnale che il danno subìto, protratto nel tempo e tutt’ora vigente ha causato un profondo malcontento tra le categorie lavorative;

a questo proposito, durante la XVIII Legislatura, sono state pubblicate la risoluzione in commissione n. 7-00344 alla Camera dei deputati e la mozione n. 1-00180 al Senato della Repubblica, entrambe con primi firmatari appartenenti a Fratelli d’Italia;

peraltro, ad avviso dell’interrogante è necessario sottolineare come, pur ammettendo come a seguito di tali ricorsi risulta che siano stati avviati numerosi tavoli tecnici interministeriali presso lo Stato Maggiore Difesa, risulta tuttavia che gli stessi non vertano sulla definizione degli aspetti relativi all’avvio della previdenza complementare, bensì sulla definizione di una strategia tesa a contestare tali ricorsi, situazione a cui l’ufficio relazioni sindacali del Dipartimento della funzione pubblica, chiamato espressamente in causa, suggeriva di ritenere che la questione si sarebbe potuta risolvere nei tavoli negoziali;

considerato che l’articolo 74, comma 2, legge n. 388 del 23 dicembre 2000 – che assegnava alle pubbliche amministrazioni le risorse necessarie a contribuire, in qualità di datore di lavoro, al finanziamento dei fondi di previdenza complementari in favore del personale delle pubbliche amministrazioni e ne stabiliva le conseguenti modalità di versamento ai fondi attraverso l’Inpdap, successivamente confluita in Inps – è stata abrogata dall’articolo 1, comma 269, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e le cui risorse, comprese quelle relative alla copertura dei costi di avvio, sono state destinate ad ogni singolo Ministero;

il legislatore con l’articolo 1, commi 95, 96 e 97, legge n. 234 del 30 dicembre 2021 stanziava ulteriori risorse necessarie ad introdurre misure integrative delle forme pensionistiche complementari di cui all’articolo 26, comma 20, legge n. 448 del 23 dicembre 1998, per il personale immesso nei ruoli delle forze armate, delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco, non risultano tuttavia essere state intraprese azioni concrete volte ad attivarne le procedure negoziali da parte dei Ministeri interessati;

va considerato infine che tale inerzia concretizza un danno economico per i militari appartenenti alle forze armate, alle forze di polizia ad ordinamento sia militare che civile ed al personale dei vigili del fuoco, ripercuotendosi negativamente sul trattamento economico previdenziale di coloro i quali si avviano al pensionamento attraverso il sistema contributivo –:

se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, nel breve periodo ma non solo, per quanto di competenza, per concludere quanto prima il procedimento amministrativo relativo all’introduzione della previdenza complementare per le suddette categorie lavorative secondo quanto prevedono le norme del decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005 e per destinare ai fondi pensione complementare, costituiti mediante attività associativa, le risorse necessarie alla copertura dei costi di avvio.

Senato della Repubblica

Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-04537 (BATTISTA) del 22 settembre 2015

Al Ministri della difesa, dell’economia e delle finanze, dell’interno e delle politiche agricole alimentari e forestali per conoscere:
se e quali siano i tempi, nonché le modalità attuative, per una soluzione chiara e definitiva in tema di previdenza complementare del comparto sicurezza e difesa

Atto di Sindacato Ispettivo n. 1-00180 (RAUTI, CIRIANI, CALANDRINI, LA PIETRA, MAFFONI, RUSPANDINI, TOTARO, ZAFFINI, URSO, IANNONE) del 23 ottobre 2019

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1124957

Il Senato,

premesso che:

la previdenza complementare è il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è quello di erogare più elevati livelli di copertura previdenziale rispetto a quelli offerti dal sistema pubblico, a fronte delle varie riforme previdenziali che hanno abbattuto, negli anni, i livelli delle prestazioni pubbliche;

ciò che rende le forme di previdenza complementare diverse da altri strumenti finanziari tradizionali è l’esistenza di una serie di norme di controllo, criteri e limiti di investimenti, specifici e stringenti, volti al raggiungimento dello scopo previdenziale cui essi tendono e che hanno impedito che le crisi finanziarie degli ultimi decenni distruggessero il risparmio pensionistico;

nonostante, a partire dagli anni ’90 e fino al 2001, anche la pubblica amministrazione sia stata caratterizzata dai processi di riforma previdenziale, con conseguenti abbattimenti del livello delle prestazioni pensionistiche, le forme di previdenza complementare, ed in particolare i fondi negoziali, per i dipendenti pubblici, hanno stentato ad affermarsi, rispetto al settore privato;

nel settore pubblico questo è accaduto sia per la scarsa conoscenza e comprensione delle problematiche previdenziali, nonché per problemi legati al reperimento delle risorse per il loro avvio, sia per l’esistenza di un ostacolo di ordine economico-giuridico e cioè l’assenza, nel settore pubblico, della principale fonte di finanziamento presente, invece, nel settore privato: il TFR (trattamento di fine rapporto);

l’attuale perdurante situazione di crisi finanziaria ha poi acuito la diffidenza verso qualunque forma di investimento finanziario;

esiste, inoltre, un problema di disparità di trattamento tra dipendenti pubblici: a differenza dei dipendenti pubblici contrattualizzati (Stato, Ministeri, Sanità, enti locali), per i quali sono state trovate risorse e sono stati fatti partire i fondi pensione Espero (Scuola) e Perseo-Sirio (Stato, Parastato, Sanità ed enti locali), per le categorie dei magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, Forze armate e di polizia, docenti e ricercatori universitari, personale appartenente alle carriere prefettizie e diplomatiche, personale delle Camere del Parlamento e della segreteria della Presidenza della Repubblica, i fondi pensione non sono partiti, a fronte di una significativa riduzione delle pensioni pubbliche, soprattutto per le classi più giovani (contributivi dal 1996);

il perpetuarsi di tale situazione pone i dipendenti pubblici non contrattualizzati in una condizione di disparità anche sotto il profilo costituzionale e, in particolare, dell’articolo 38, ai sensi del quale «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;

la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 393 del 28 luglio 2000, ha sposato la tesi della «funzionalizzazione» della previdenza complementare a quella pubblica, nel senso che essa si sostituisce in parte ai compiti di quest’ultima, non in grado di garantire nel tempo adeguati livelli di copertura previdenziale;

proprio la previdenza complementare costituisce, nel comparto sicurezza e difesa, uno dei più importanti capitoli ancora aperti e non risolti: il personale delle forze armate fa parte di quei dipendenti pubblici, che non sono stati coinvolti dal processo di privatizzazione del pubblico impiego e i cui rapporti di lavoro, sulla scorta del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, restano disciplinati dai rispettivi ordinamenti;

per quanto concerne, infatti, il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, l’articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha riservato espressamente alle procedure di negoziazione e concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, «la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari»;

tra i motivi che hanno reso difficoltosa la partenza dei fondi per i militari ne sono stati addotti prevalentemente due: l’assenza di risorse da destinare a tal fine nelle varie leggi di bilancio e il fatto che la citata legge n. 448 del 1998 richiede, di fatto, il preliminare passaggio dal TFS al TFR e tale passaggio non è conveniente per i militari;

per ovviare a tale situazione molti militari hanno cercato di coprire da soli il divario previdenziale, spesso sottoscrivendo però prodotti spacciati come fondi pensione che non sono tali o comunque non utili ai fini pensionistici o, altre volte, prodotti molto costosi che ne eroderanno i rendimenti. In altri casi potrebbero aver sottoscritto prodotti offerti da intermediari finanziari senza un’adeguata informativa collettiva;

per il personale delle forze di Polizia e delle forze armate l’apertura ufficiale delle procedure di concertazione, di cui al citato articolo 26 per la previsione di fondi pensione complementare è intercorsa nel 1999. Nello specifico, il decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 254 di «Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999», nel Titolo II, riguardante il personale non dirigente delle Forze di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e corpo della Guardia di finanza), all’articolo 67, comma 1, stabilisce che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate provvedono a definire:

a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle forze armate e delle forze di Polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in TFR, le voci retributive utili per gli accantonamenti del TFR, nonché la quota di TFR da destinare a previdenza complementare. Lo stesso articolo 67, al comma 2, specifica che destinatario dei fondi pensione, di cui al comma 1, è il personale che liberamente aderisce ai fondi stessi;

per il personale delle Forze armate e di polizia, che attualmente rimane in regime di TFS, l’interpretazione del combinato disposto delle norme citate conduce a ritenere che il vincolo per consentire l’attivazione di forme contrattuali sussista solo ove si voglia utilizzare tale fonte di finanziamento (il TFR) e quindi ci si trovi di fronte a fondi di natura negoziale, cioè ci si trovi innanzi a fondi istituiti in base a norme previste nei rispettivi ordinamenti e che quindi, scaturiscono da procedure di concertazione; tale vincolo, invece, non dovrebbe sussistere nel caso in cui si voglia attivare una forma di previdenza complementare finanziata solo da contribuzioni diverse dal TFR, cioè nel caso di fondi istituiti sulla base di accordi tra lavoratori promossi da loro associazioni, che non coinvolgono il datore di lavoro. In tal caso, infatti, tali fondi, pur essendo chiusi, non avrebbero carattere negoziale;

alla luce del delineato quadro normativo, il fulcro della questione risiede nell’individuazione dei soggetti titolati all’avvio delle procedure citate, nonché delle posizioni assunte dal giudice amministrativo sul punto;

in virtù del fatto che il personale in questione rientra tra quello non contrattualizzato, parte della dottrina e fondante giurisprudenza hanno ritenuto un obbligo in capo alla pubblica amministrazione procedere per disciplinare in base ai rispettivi ordinamenti la previdenza complementare ed il TFR (Tar Lazio, Sez. I-bis, Sent. n. 9186/2011 del 23 novembre 2011);

con le sentenze 21 marzo 2013, n. 2907/2013 e n. 2908/2013, pronunciate dalla sezione I-bis del TAR Lazio, i ricorrenti (militari delle forze armate, inclusa l’Arma dei Carabinieri) hanno ottenuto il riconoscimento dell’obbligo per le amministrazioni resistenti di concludere, mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo concernente l’introduzione della previdenza complementare;

dallo stesso TAR Lazio è stato poi nominato un commissario ad acta, al quale è stato riconosciuto l’onere, ritenuto indispensabile, «di attivare i procedimenti negoziali interessando allo scopo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed i Consigli Centrali di Rappresentanza, senza tralasciare di diffidare il Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione ad avviare le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza»;

nonostante ciò, a distanza di ben ventuno anni dall’entrata in vigore della legge n. 448 del 1998, non sono state ancora avviate le procedure di negoziazione e concertazione per “la definizione del trattamento di fine rapporto e l’avvio della previdenza complementare”, contrariamente a quanto già realizzato per altri settori della Pubblica Amministrazione;

non è più procrastinabile un’attivazione della previdenza complementare nel comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, volta ad accrescere gli assegni pensionistici nei confronti dei lavoratori, le cui prestazioni verranno calcolate con il sistema contributivo e che quindi percepiranno meno rispetto agli altri lavoratori del pubblico impiego,

impegna il Governo:
1) a stanziare nella prossima legge di bilancio per il 2020 le necessarie risorse da destinare all’avvio della previdenza complementare negoziale per il Comparto difesa e sicurezza ai sensi della legge n. 448 del 1998, così da equiparare il personale militare al resto dei dipendenti pubblici;
2) a prevedere, nelle more dell’individuazione di risorse pubbliche, la creazione di un fondo collettivo non negoziale, evitando la dispersione dei singoli verso forme di previdenza diversificate e con scopo di lucro;
3) ad assumere iniziative di competenza, anche di carattere normativo, in ottemperanza alle disposizioni di cui all’articolo 24, comma 28, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetta legge Fornero), finalizzate alla previsione di adeguate forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria agli enti previdenziali da devolvere verso schemi previdenziali integrativi, in particolare a favore delle giovani generazioni;
4) a prevedere meccanismi di adesione contrattuale all’interno di singoli contratti di lavoro. Come chiarito da Covip, infatti, l’adesione contrattuale deriva da una previsione inserita nel CCNL, che introduce a favore di tutti i lavoratori dipendenti del settore di riferimento un contributo mensile, a carico del solo datore di lavoro, da versare al Fondo di previdenza complementare individuato nel contratto stesso;
5) a prevedere, nelle more dell’attivazione della previdenza complementare, anche per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, benefici all’atto della cessazione del servizio;
6) a prevedere l’abolizione del meccanismo di opzione, ossia la possibilità di aderire a fondi pensione negoziali senza dover trasformare il proprio TFS in TFR.

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